La storia

Ore 7 del mattino. Un sole prepotente fra le nuvole, una giornata di gennaio, persone che aspettano un autobus su una pensilina con le giacche a vento, i guanti e l'aria che esce dalla bocca a ogni respiro e va a dissolversi nel gelo dell'inverno lombardo.

Una scena comune a tanti paesi a metà fra campagna e città: la vita scorre lenta e immutata per chi la trascorre nel borgo ma chi deve studiare o lavorare spesso è costretto ad alzarsi di buon mattino e aspettare un mezzo pubblico che non arriva mai. E nell'attesa si forma una babele di vite e storie: ragazzi, ragazze, adulti e qualche mamma con passeggino.

Era così anche a quella fermata. C'erano gli operai della fabbrica siderurgica, qualche impiegato e soprattutto i ragazzi, liceali talvolta quasi coetanei dei lavoratori più giovani.

Si incontravano, si sfioravano e nella finta indifferenza, fra le chiacchiere fitte fitte sulla ragazza, il capo, la collega dirimpettaia, la prof, l'interrogazione, gli uni scrutavano curiosi gli altri.

Nel gruppo delle liceali c'era lei. Estroversa, simpatica e pure lunatica: lui la vedeva così. Un giorno incazzata con l'universo, un giorno assorbita dalle frequenze altissime che provenivano dalle cuffie collegate all'immancabile iPOD. Ancora, arrabbiata, esaltata, felice, pazza, forse innamorata. Sì, innamorata. Doveva esserlo da qualche tempo. Era eccitata, camminava tre metri sopra il cielo, parlava a tutte le compagne di quel misterioso lui. bello, buono, sensibile.

L'ascoltava intenerito. Era più piccola di lui, avevano un bel po' d'anni di differenza. Mentre per i suoi colleghi, tutti più vecchi e con interessi già marcati -la donna, il sindacato, la promozione- quelle erano ragazzine da osservare per sorridere delle abitudini delle nuove generazioni e sentirsi sollevati per aver superato quell'incasinata fase della vita, lui si interessava sinceramente ai loro dispiaceri spesso sottovalutati dal mondo e quindi ascoltava e cercava di capire i dialoghi. "Non ridere delle lacrime di un bambino, tutti i dolori sono uguali", gli aveva detto un amico animatore in oratorio e lui faceva sua quella frase. Se un giorno qualcuna appariva triste lui ascoltava i commenti delle sue amiche per capire cosa le fosse successo ed era sinceramente felice per lei quando la crisi del momento veniva superata.

Sara era popolare, una leader nata che le amiche ammiravano e finivano per imitare. Di lei sapeva molto. Sapeva per esempio che aveva avuto una vita un po' movimentata, che aveva una volontà di ferro ma riusciva regolarmente a precipitare nella più cupa depressione per un nonnulla. Che sclerava, come dicevano le sue amiche.

Dell'amore di Sara invece aveva capito ben poco: non era del paese. Si erano incontrati durante le vacanze di Natale e stavano sempre insieme fra chat e telefonino. Ogni mattina Sara riceveva diversi suoi messaggini e ogni volta lanciava un urletto di gioia, ormai era un classico che divertiva e rendeva felici tutti a "pensilinandia"! I primi di tanti contatti: vivevano praticamente in simbiosi e tutto questo aveva portato effetti benefici all'equilibrio di quella ragazza che oltre che felice sembrava meno propensa a cambiare atteggiamento in base alle combinazioni planetarie. Anche le sue amiche se ne erano accorte e dovevano certo essere grate a quel misterioso ragazzo.

Era assorto a contemplare quell'affresco di vite in fiore quando il suono di un vecchio motore scassato lo riportò alla realtà. Il pullman era arrivato. Salì e miracolosamente trovò un posto. Il viaggio non era particolarmente lungo ma rannicchiarsi in un sedile era l'ideale per chi doveva lasciare le lenzuola sempre prima rispetto a quando avrebbe voluto. Lo aspettava una giornata in fabbrica. Aveva un posto buono, a controllare i robot di produzione. Non era certo l'operaio dell'immaginario collettivo, con i guanti e la tuta sporchi d'olio, eppure un po' invidiava quei ragazzi che avevano certo meno responsabilità e pensieri di lui.

Preso ancora una volta dai suoi pensieri non si accorse che Sara e una sua amica si erano sedute proprio davanti a lui. Strano non averle notate! In quel periodo lei era così esuberante che era impossibile non accorgersi di averla accanto. Di solito, appunto. Quel giorno era diversa, sembrava spenta. Il suo "sorriso ebete", come l'aveva lei stesso definito giorni prima, era svanito. Non piangeva, non era arrabbiata, restava muta a fissare il panorama che scorreva veloce dietro il finestrino.

Non riuscì a nascondere lo stupore ma non se ne preoccupò più di tanto. Le ragazzine comunque sapevano della curiosità suscitata in quei ragazzi più grandi e di solito la accettavano con gioia. A 14 anni essere osservate da quei "figoni" di 20, 25 era troppo eccitante per prendersela. Ma non quel giorno. Sara incrociò il suo sguardo interrogativo e gli rifilò un insolitamente duro "cazzo hai da guardare?". D'istinto lui voltò lo sguardo e nascose l'imbarazzo dietro la Gazzetta dello sport con l'ennesimo 1 a 8 per l'Inter. Porca sossa.

Il viaggio fortunatamente finì presto per lui che scese alla fermata davanti alla fabbrica. Mentre il pullman ripartiva osservò ancora una volta il volto di Sara. Cosa poteva esserle successo. Avviandosi ai cancelli ipotizzò che il ragazzo l'avesse lasciata. Di solito a quel punto riponeva Sara in un angolino della propria mente e iniziava la giornata ma quel giorno gli restò addosso uno strano magone, una malinconia che non riusciva a scacciare.

La sera sul pullman si reicontrarono. Faceva buio presto e questa volta erano tutti in piedi, ammassati l'uno contro l'altro. Non si potevano fare preferenze di posto o di compagnia, il viaggio era così e c'era da ringraziare che passasse quell'autobus. Sara aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto e quella sera per la prima volta lui vide una lacrima scendere lungo le sue guance. Lei, così allegra e gioiosa fino al giorno prima. Lei stava piangendo.

Il chiacchiericcio di quel pullman, che un tempo la vedeva protagonista, ora sembrava quasi darle fastidio, isolata come voleva nel suo malinconico silenzio. Scese tre fermate prima di quella abituale e lui la vide avviarsi mestamente verso casa, a piedi, nel silenzio e nel vento, Evidentemente qualcosa doveva averla infastidita oltre il limite di sopportazione per spingerla a isolarsi completamente in quel modo.

Ascoltò i discorsi, cercò di cogliere ogni parola e alla fine capì. Tutti parlavano di lei e di quel suo amore lontano, soldato mandato suo malgrado in missione umanitaria in un paese in guerra. Di colpo, da un giorno all'altro. Lei non se l'aspettava e lui nemmeno ma il destino aveva scelto così e ora lei non poteva sentirlo, ne' lui aveva il permesso di chiamarla. Motivi di sicurezza, estremo pericolo. Non avrebbe saputo piu' nulla di lui per un tempo indeterminato. Stava bene? Stava male? Sarebbe tornato un giorno dopo o quando? Ma sarebbe tornato? Ma che missione era? Ma come stava? Il nulla. L'attesa e l'angoscia.

"Dio mio" -pensò- "povera stella! Fino a ieri vivevi di quel ragazzo e oggi lui non è più nella tua vita e sta rischiando grosso!". E poi il cinismo, le frasi stupide, quelli che "io ci sono passato", "io so cosa prova Sara", "Cerca di sorridere", "Pensa positivo"! Si può essere più sciocchi? Nessuno può sapere quanto lancinante sia portare con sé un dolore simile e pretendere di liquidare tutto con frasi come queste non fa che accentuare la ferita.

Scese d'istinto dal pullman ben prima della sua fermata ma non si diresse verso casa: tornò indietro, fregandosene della pioggia ormai battente. Camminò lentamente cercando le parole giuste da dire a Sara quando l'avrebbe incontrata in quella trafficata strada della zona industriale, illuminata dai lampioni arancioni, in quella buia notte del cielo e dell'anima.

-"Ciao... è pericoloso camminare qui da sola, ci sono i TIR a due passi". -"So cavarmela da sola" -"Lo so, io volevo solo dirti che..." -"Lasciami stare." -"OK, ma sappi che lo so. Che ti penso. Che..." Non voleva dirle banalità, voleva rassicurarla, portare una calda goccia di genuina speranza in quel cuoricino gelato dall'angoscia e l'improvvisa solitudine". -"Lasciami stare, va via". -"Va bene, piccola. Pregherò per voi" -"Ecco si, prega. Ora lasciami stare".

Restò immobile mentre lei se ne andava. Era rattristato per la durezza di quella reazione anche se in cuor suo la capiva. Avrebbe voluto... abbracciarla, essere in grado di riportarle il suo amore. Ma era solo un essere umano e la sua unica risorsa era la preghiera. La osservò procedere, il passo rassegnato, privo della benché minima voglia di esistere. Decise che l'avrebbe protetta da lontano. Avrebbe pregato per lei e fatto quel che poteva per proteggerla dalla curiosità degli altri.

Furono giorni lunghi, infiniti. Il tempo sembrava non passare e i pensieri erano bui. Pioveva molto quell'inverno e le strade sembrarono ancor più dolenti. Sembrava che il cielo e la città piangessero come l'anima ferita e impaurita di Sara che coraggiosamente aveva scelto di portare da sola la croce di quell'attesa interminabile. In realtà non era sola: chi in un modo o nell'altro aveva capito ora viveva le sue stesse emozioni, al di là di qualsiasi frase di circostanza detta sull'onda dell'emozione. Quando la luce di un faro si spegne, e Sara per gli amici lo era, tutti sono partecipi al suo dolore, che lo capiscano davvero oppure no.

Sara non viveva, sopravviveva e con lei i suoi amici, persone che ormai associavano il buio della notte, il freddo ed il silenzio a ogni istante di giornate che sembravano destinate a ripetersi all'infinito.

Ma poi naturalmente tornò il sole.

La radio annunciò la fine dell'intervento nel paese in guerra. Missione compiuta, dissero. L'incubo era finito. Lui che aveva seguito tutto restando in disparte pianse lacrime di gioia nel rivedere la luce forte della vita negli occhi di Sara. E di colpo anche la pioggia sembrava parte dell'ambientazione di un musical sulla gioia, le lacrime del cielo erano ora lacrime di gioia. In realtà la città, le strade e la pioggia erano sempre quelli ma nei cuori di tutti splendeva di nuovo il sole, la speranza, la gioia di un amore, il sogno di un futuro.

Tanti auguri di un eterno batticuore
e che quel che sembra amore poi lo sia
Siamo tutti onde dello stesso mare
e strumenti della stessa sinfonia!

A due belle persone, perché questa sia la vostra storia.

FINE

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