Echi di solitudine
Un racconto scritto da Gabriele Favrin
(agosto 2003)
La storia
Una notte come tante ne aveva passate.
Martina era sola, nel buio e nel silenzio della stanza del PC,
a scrivere con la sua fidata tastiera e confidare segreti e
sogni ad un amico lontano. Viveva in fretta la sua età e
correva verso un futuro del quale non si preoccupava
eccessivamente ma che inseguiva con l'ansia di tutti i giovani.
Ieri bambina, oggi rimaneva in piedi fino a tardi, per
scherzare, chattare e sognare.
Stare sola nel silenzio un po' la angosciava ma la
libertà di fare ciò che desiderava senza interferenze
valeva qualche piccolo timore.
Anche quella notte. Il suo amico era andato a scrivere e lei
si sentiva un po' più sola. Riempiva i pensieri vagando
nelle immensità anonime della rete. Però era sola. Penso'
a quella situazione e avvertì un brivido gelido scorrerle
lungo la schiena.
La luce fioca della notte, il silenzio. D'improvviso si accorse che non tutto taceva. Qualcosa c'era. Un rumore ripetuto e sottile, quasi soffocato.
Tic. Tic. Tic. Silenzio. Tic. Tic. Tic. Silenzio.
Si guardo' attorno. Nel vaso dove qualche settimana prima una colomba
aveva deposto il proprio uovo ora c'era un colombo tutto
nero. Era piccolo. Chiaramente sofferente. Stava morendo.
Il ticchettio era il suo piccolo becco che batteva contro le
pareti del vaso in cerca d'aiuto. La guardò implorante,
accasciò la testina e in pochi attimi le sue membra
svanirono lasciando soltanto le ossa. Piccole, infantili e
fragili ossicine che rapidamente si trasformarono in
polvere grigia.
Martina rimase sconvolta per quanto era accaduto. Non sapeva spiegarselo ma l'angoscia per quella vita spentasi tanto in fretta davanti a lei, inerme, la devastava. Poi quasi d'istinto guardò le gabbie dei suoi amati canarini. C'erano solo mucchietti di ossa che stavano già trasformandosi in polvere grigia. Le venne da piangere ma dalla sua gola i suoni svanivano subito, come l'eco di una campana udita da un treno in corsa. Mise la testa fra le mani e si abbandonò sulla scrivania, davanti al computer acceso.
Riaprì gli occhi che fuori era ancora tutto buio. Ma era un buio diverso. Pesante. Non c'erano stelle, non c'era la luna. Fuori dalla sua finestra sembrava non esistere più un mondo.
Si guardò attorno. Tutto era ricoperto da una patina di polvere gialla. Il computer si doveva essere spento. Tentò di riaccenderlo nulla accadde. Tentò di alzarsi ma il suo corpo la tradì, procurandole terribili dolori, gli stessi di cui spesso le parlavano i suoi nonni. Si guardò in uno specchio ormai opaco e vide l'immagine della vecchia nonna.
Già, i nonni. Pensò a loro e sentì che se n'erano andati. Il pensiero andò ai genitori e alla sorella. Ingoiati dal tempo. La memoria corse ai suoi amici di sempre. Le apparvero figure vecchie, stanche e affaticate. Corpi segnati da una lunga vita. Pensò agli altri amici. Ad Angelica, ad Antonio, a Gabriele. Vide la sua lapide. Il suo funerale. Il suo volto spento nella bara. Se n'era andato anche lui.
Era rimasta sola.
Avrebbe voluto morire ma il colombo nero con voce
bambina le disse che lo era già.
Questa volta però puoi tornare indietro, aggiunse.
Vivi la tua vita giorno per giorno,
come se fosse l'ultimo.
Non lasciare nulla in sospeso,
non rimandare un abbraccio a domani.
Non inseguire ciò che non sei oggi: lo sarai domani.
Vivi così e non rischierai
che la vita ti sfugga di mano
come sabbia di una clessidra.
Il sollievo per quelle parole e la consapevolezza di essere ancora in tempo per vivere ogni attimo della propria vita non bastarono a Martina per compensare l'angoscia e il senso di solitudine e desolazione appena provati.
Martina aprì gli occhi bagnati di lacrime. Era davanti al computer. Si doveva essere appisolata dopo aver letto il racconto che un amico lontano aveva scritto per lei.
FINE
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